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Sì, mia padrona.

31.01.2022

Sembrare duri all’esterno è davvero difficile. Soprattutto quando si è sensibili all’interno come un nervo dentale esposto. Nessuno, assolutamente nessuno, delle centinaia di persone di cui sono capo deve averne un'idea. Per non parlare della famiglia. Non capirebbero. Lei sì. Meno male che ho lei. La mia padrona.

“Sei pronto?”
“Sì, padrona.”

Mi inginocchiai con la testa china e le mani sulle ginocchia sul bordo di un letto di metallo ricoperto di rosso in un sotterraneo di pietra poco illuminato. Se mi fosse stato permesso di alzare la testa, avrei visto gli stivali neri laccati alti fino alle ginocchia con tacchi alti avvicinarsi lentamente da una porta alla mia destra. Si fermarono proprio davanti a me. Non osavo alzare lo sguardo.

“Quali sono le tue trasgressioni dal nostro ultimo incontro?”, suonò il suo contralto intransigente.
“Mi sono fatto delle seghe”, deglutii, “pensando a Lei, padrona”.
“Come mai hai violato il divieto?!”, chiese gelidamente e io sentii una frustata sopra la mia testa. Aspettando un’altra frustata abbassai la testa.

“Non vedevo l’ora della nostra lezione insieme e avevo bisogno di rilassarmi e…” non finii la frase perché la padrona mi interruppe: “Sì, allora tu avevi bisogno... Tutto ciò di cui hai bisogno è una punizione per la tua disubbidienza. Chiedila!”.
“Sì, padrona, grazie padrona. Per favore, La prego, mi punisca”.
“Alza la testa”.
Sì, mia padrona.
Obbedii agli ordini. La cintura delle sue cosce bianche brillava sopra i suoi alti stivali, sopra di loro un vestito a corsetto in vernice rossa con una cerniera davanti. Sopra una scollatura ripiena fino a scoppiare, l'espressione severa dei suoi occhi azzurri d'acciaio. E un frustino in mano.

“Allunga le mani”, ordinò, battendo l'estremità del frustino contro il dorso della mia mano, “palmi verso l’alto”.

Obbedii e - uno-due! - diede un colpo ai miei palmi. Bruciava come l'inferno.

“Grazie, padrona”.
“Tira giù i pantaloni fino alle ginocchia, mettiti a quattro zampe e mostrami il culo”.

Obbedii all’ordine. Mi lasciò in quella posizione imbarazzante, limitandosi a guardarmi in silenzio. Poi sentii il suo palmo sulla mia chiappa destra. Con un movimento esperto la strinse e rilasciò. Poi provò a sculacciarmi. E lo fece un altra volta, più forte.

“Che bel culetto”, gemette con soddisfazione, “vedremo quanto resisterà. Adesso lascerò stare il frustino e prenderò qualcos'altro per te”. Sentii il rumore dei suoi tacchi che si allontanavano e non osai voltarmi. In un attimo il rumore dei tacchi divenne di nuovo più forte. Sentii una leggera eccitazione. Stava preparando qualcosa. Ma cosa? Sentii passare alcune strisce morbide sulle mie chiappe.

“Sicuramente già sai cosa sarà. Spero che tu non veda l’ora della tua punizione. Ma un frustino non basta. Allarga le chiappe”.

Mi prese il panico. Oh, no... Non osai disobbedire... Sentii la freschezza del gel lubrificante e poi qualcosa di duro e freddo si stava facendo strada, centimetro dopo centimetro. Questo non lo avevo mai fatto... Trasalii quando il plug entrò tutto.

“Non ti agitare o sarà peggio”, disse la padrona a denti stretti, “non ho solo un frustino in mano”.

Capii che quello che teneva nell'altra mano era un telecomando, perché il plug dentro iniziò a vibrare leggermente.

“Quindi ti stavi masturbando anche se te l'avevo espressamente proibito. Allora adesso ti ordino di fare il contrario. Assaggerai la tua stessa medicina. Ma in un modo un po’ diverso. Ti farai una sega al ritmo che io ti mostrerò sul tuo culetto. Una frustata leggera significa che puoi fare solo un piccolo movimento attorno al glande. Una frustata forte significa che farai scendere la mano fino alla radice. È chiaro?”.

“Sì, padrona”.
“E per non farla così semplice, non devi sborrare prima che io te lo permetta. Se vieni prima, ci sarà un’altra punizione, hai capito?”.
“Ho capito, padrona”. Annuii.
“Ecco il lubrificante, tieni”, lanciò la bottiglietta sul letto, “usane una buona dose. Poi raddrizzati e appoggiati al muro con una mano. Voglio avere una buona visuale di lato”.

L’idea di lei che mi guardava mentre mi masturbavo e mi frustava mi eccitò ancora di più. Non appena mise un po’ di lubrificante sul glande che si gonfiava, sentì un leggero formicolio e poi un’ondata di calore.

“Pronto?”.
“Sì, padrona”.

Espirai. Il vibratore mi stuzzicava in un modo che indicava che forse non avrei potuto farmi una sega senza che venissi subito. Fino a quel momento, non avevo idea di cosa significasse stuzzicare la prostata. Non mi era mai venuto in mente di infilarmi qualcosa nel mio ano. Il mio cazzo era duro come una roccia e quella tensione mi faceva impazzire.

“Azione”.

Una frustata leggera. Mi appoggiai con la mano sinistra al muro. Tirai giù il prepuzio ma solo a mezz’asta e poi di nuovo indietro. E di nuovo. E ancora.

“Afferralo con forza!”, ordinò e la frustata seguente fu più forte. Tirai giù il prepuzio fino in fondo.
“Allora, come mi immaginavi?”, una frustata leggera, “raccontamelo”, gemette. “Mi scopavi tu oppure ti scopavo io?”.
“Lei si scopava me, padrona.”

“Come? Descrivimelo!”, dette una frustata forte. “E non risparmiare i dettagli”. Mi colpì di nuovo.
“Lei era seduta sulla mia faccia”. Un leggera frustata. “Mi stava soffocando, mia padrona”. Slap. “Era tutta bagnata”.

Una frustata forte nello stesso posto. Iniziò a bruciare.

“Interessante. Continua”.
“Mi stringeva il cazzo fino a farmi male”. Slap. “E stava... mi stava tirando le palle”.

Slap da sinistra. Slap da destra. Avevo di nuovo quella scena davanti agli occhi. Ansimavo per il respiro mentre lei cercava di strapparmi via il cazzo. Lo lasciai per non sborrare nei secondi successivi e Lei se ne accorse. Seguirono tre colpi forti e veloci a turno su entrambe le chiappe.

“Dai, non oziare”, gridò, “respira!”.

Mi morsi il labbro dolorosamente. Non potevo venire ancora. Non ancora. Slap!

“Dieci...”, cominciò a contare, “nove, otto, sette, sei, cinque, quattro...” e ad ogni numero sentivo il frustino sul mio culo. Le mie gambe cominciarono a tremare.
“Non posso più resistere...”.
“Sì che puoi resistere!”, sbraitò.

Il buio scese sui miei occhi. Trattenni il respiro. Il vibratore diventò silenzioso, il frustino sparì.

“Girati verso di me”, disse, “metti entrambe le mani in alto e guardami”.

Ubbidii. Un’immagine incredibile si presentò davanti ai miei occhi. La cerniera del vestito rosso era aperta, rivelando il grembo perfettamente rasato della mia padrona.
Sì, mia padrona
“Mettiti in ginocchio davanti a me”, ordinò, “lascia le mani in alto. Non osare muoverti in qualche modo o fare qualcosa”.

Feci quello che mi aveva ordinato. Appena mi inginocchiai, mi resi conto di quanto mi bruciasse il culo dalle frustate. “Perfetto”, accennò e premette il telecomando. Il vibratore cominciò a fare di nuovo il suo lavoro e la mia eccitazione cominciò a salire pericolosamente di nuovo. E non mi era nemmeno permesso di toccarmi il cazzo, figuriamoci di continuare a farmi una sega.

La padrona si avvicinò, divaricò le gambe, mi prese per la chioma dei capelli. Tirò la mia testa nel suo grembo e premette. Era bagnata dai suoi fluidi e non potevo respirare. Le mie palle cominciarono a ritirarsi verso il mio corpo, il mio cazzo cominciò a contrarsi. Graffiai l'aria con le mani.

“Tre… due…”, ad ogni numero passava il suo grembo bagnato sulla mia faccia senza liberare i miei capelli, “uno…”.
“Ora!”.

Diede uno strattone indietro alla mia testa per farmi prendere aria e nello stesso secondo cominciai a schizzare tra le sue gambe divaricate, in ginocchio, le mani nel gesto di un vincitore al traguardo. L’intensità dell‘orgasmo e la portata della mia sborra mi sorpresero. Crollai sul pavimento respirando profondamente.

Spense le vibrazioni, mi prese il mento, mi guardò negli occhi e con un gesto mi ordinò di andare al bagno per sistemarmi. Qualche minuto più tardi, dopo essere tornato dal bagno con uno straccio per poter pulire il pavimento dalla mia sborra, eravamo seduti uno di fronte all'altro. Lei nella sua comoda poltrona nera, io nella mia posizione base, in ginocchio sul pavimento nudo. Le mie chiappe che bruciavano sopra i miei talloni erano un doloroso ricordo di quello che avevano passato.

Lei sorrise: “Ti sei comportato bene oggi. Ecco un piccolo regalo della tua padrona”. Si chinò e mi passò per terra una piccola coppetta, dicendo: “Arnica. E qualche altra erba. Il tuo culo non ricorderà nulla entro domattina”. “La ringrazio, padrona”, respirai con la testa ancora abbassata, “grazie per la sua generosità”.

“La lezione di oggi è finita. Lascia al solito posto qualsiasi somma di denaro che pensi possa piacere alla tua padrona abbastanza da farle desiderare di vederti ancora. Poi, chiudi silenziosamente la porta dietro di te. La signora stessa ti farà sapere se e quando potrai venire. E ora vai”.

Mi alzai e con la testa bassa cominciai ad indietreggiare verso la porta.

“Sì, padrona. Grazie, padrona”.

Infilai una busta dietro la statua del drago sulla colonna vicino alla porta, desiderando silenziosamente che chiamasse il più presto possibile.
La mia padrona.
 
Autore: Marina Deluca

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