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La capa dei miei sogni II

22.10.2024
La capa dei miei sogni II

“Entri!”.

Quel tono riservato mi sorprese. Come se la conversazione telefonica di ieri sera non fosse nemmeno avvenuta. Probabilmente si era resa conto di aver flirtato troppo e voleva pareggiare i conti. Va bene. Vedremo. Aprii la porta e salutai. Era seduta dietro la sua scrivania in una blusa stretta di colore bianco con i primi bottoni casualmente slacciati, dai quali sporgeva un solco perfetto.

“Buongiorno, Max, si accomodi”, disse senza alzare lo sguardo dal suo portatile. Mi sedetti sulla sedia al lato opposto della sua scrivania.

“Ho rivisto il suo report di ieri”. Finalmente alzò gli occhi e mi guardò.

“Forse non dovrei dirlo, ma è da molto che non vedo un lavoro elaborato così precisamente. Lei non è niente male”.

“Niente male” significa mediocre. Ma io sono tutt’altro che mediocre.

“Grazie, sono contento che sia soddisfatta, signora Direttrice”, sorrisi al titolo che non usavamo in azienda e feci subito una faccia neutrale perché non confondesse la buona educazione con il servilismo.

Le sue pupille si restrinsero subito: “Ma ho trovato qualche discrepanza rispetto al piano originale. Soprattutto, un superamento del limite nell’area di assegnazione del tempo. Certo, niente di grave, ma mi piacerebbe comunque sapere perché ci ha messo così tanto a lavorare sull’ultimo progetto che Le è stato affidato. Era un progetto standard che, secondo le mie informazioni, aveva già realizzato dozzine di volte. Si sente stanco? Ha bisogno di riposarsi?”.

Ecco qui. Come le spiego che in sua presenza devo concentrarmi al massimo per non immaginare le sue bellissime tette che ballano davanti ai miei occhi e l'idea di quello che si potrebbe fare con loro e la loro proprietaria invece di pensare a diverse versioni dello spot pubblicitario?

Decisi di rischiare: “Non mi sento affatto stanco, Joanna. Ultimamente ho avuto anche troppa energia. È solo che, purtroppo, mi lascio travolgere facilmente dalla fantasia”.

Sembrava veramente incuriosita: “Dalla fantasia? In che senso?”.

Fissai lo sguardo lontano dietro la sua spalla sinistra. “Nel senso che invece di vedere la poppa arrotondata di una nave davanti a me, eleganti curve femminili sotto una gonna stretta emergono nella mia immaginazione. Invece di vedere la prua che sporge in avanti, vedo le punte dei capezzoli di una donna”.

Guardai direttamente nei suoi occhi: “E invece di sentire l'odore dei pannelli di legno e il profumo del mare nella mia mente, sento profumo di Chanel”.

Inclinò leggermente la testa di lato: “La sto distraendo al lavoro?”.

“Abbastanza. Ma allo stesso tempo, mi ispira”.

“Sono davvero contenta”, sorrise dolcemente, “perché non mi parla dell’idea che aveva menzionato ieri?”. Si alzò dalla sua sedia, fece il giro della scrivania e si fermò proprio accanto alla mia sedia. Mi girai un po’ verso di lei e così il suo abbondante seno si ritrovò improvvisamente a pochi centimetri dal mio viso.

Feci un respiro e guardai nei suoi occhi verdi da gatta. Tre secondi di silenzio di tomba. Mi inclinai leggermente verso il suo capezzolo sinistro e mi fermai proprio all’ultimo momento. Lo salutai con un lungo respiro caldo. Reagì subito, cercando di bucare il reggiseno e la blusa.

Joanna deglutì. Con la mano sinistra toccai la sua gamba appena sotto l’orlo della gonna e la afferrai appena sopra il ginocchio. Non si tirò indietro. Feci scorrere lentamente il mio palmo verso l'alto e sentii la giarrettiera. Sospettavo che la indossasse, ma mi eccitai lo stesso. E quello che scoprii dopo mi eccitò ancora di più.

Le mutandine non c’erano. Quella puttana... Joanna fece passare le dita tra i miei capelli e leggermente mi fece avvicinare a lei. Presi il suo capezzolo tra i denti e strinsi leggermente. Gemette silenziosamente. Saltai in piedi, presi la sua testa e mi attaccai al suo carnoso labbro superiore. Mentre le tiravo su la gonna a tubino fino alla vita, con la mano destra sbottonavo la sua blusa, che scivolò sul pavimento.

Joanna non esitava e iniziò a sbottonare i miei pantaloni. Diventava sempre più duro, erano tesi fino a scoppiare. La aiutai e lasciai che il mio cazzo scivolasse dai miei pantaloni direttamente nel palmo della sua mano. Lo afferrò con forza come un predatore afferra la sua preda. Oh, no. Ora sono io al comando. Qualunque sia la situazione.

Tolsi la sua mano, presi i suoi polsi sottili con una mano e mi inginocchiai. Affondai il mio naso nel suo grembo e respirai il suo profumo. Aveva una figa bellissima, dolce, ben rasata, con un bocciolo rosa che faceva capolino. Mi avvicinai e cominciai a baciarlo.

Con la mano libera la afferrai per il culo e iniziai a tirarla ritmicamente verso di me. Joanna singhiozzò silenziosamente. Passai la mia lingua tra le labbra della sua figa e tornai di sopra. Lo succhiai di nuovo. Le gambe di Joanna tremarono.

“Ti voglio dentro di me”, disse affannata, “dai, scopami!”.
La capa II
Quanto mi sarebbe piaciuto lasciarla pregare. Ma non potevo. Avevo troppa voglia di scoparla. Mi alzai e sempre con le sue mani nella mia, mi diressi verso la scrivania. Spazzai via la pila di fogli, la sollevai e la posai sulla scrivania. Lasciai andare le sue mani perché si potesse appoggiare e allargare le gambe e posizionai la punta del mio glande proprio all’ingresso della sua figa. Strisciai su e giù sul suo clitoride e Joanna gemette.

Dai! La penetrai in una sola lunga spinta. Avvolse le sue gambe intorno a me e mi morse il mento. Ah, bene! Quindi, ti piace questo... Hai bisogno di scopare duro: bene, nessun problema! La impalai su di me e la sollevai dalla scrivania.

Mi spostai un po’ più vicino al divano, mi misi in ginocchia e posai Joanna sul divano.  Con una delle sue gambe abbassata e l'altra con un tacco a spillo avvolto intorno al mio fianco, iniziai a scoparla duro. Mi affondò le unghie nelle chiappe e sbatteva come una pazza. Non potevo mantenere a lungo questo ritmo. Rimanendo dentro di lei avvicinai il suo bacino e cominciai a girare lentamente dentro di lei. Joanna gemette silenziosamente.

Lei sapeva come goderselo. Scivolai fuori da lei. Appoggiato su un gomito, liberai le sue splendide tette dal reggiseno con la mia mano libera e cominciai a massaggiarle e succhiare una per una. Facevo i turni perché non fossero gelose. I capezzoli rosa scuro si gonfiarono fino alla durezza di noccioli di ciliegia sotto le vibrazioni della mia lingua. Tette splendide. Né morbide né dure, con belle areole sporgenti che imploravano di essere succhiate.

Joanna mormorò: “Ti voglio da dietro...”.

E questo non si può rifiutare. Mi alzai e Joanna si mise subito a pecorina. Mi mostrò il suo bellissimo culo sodo nelle giarrettiere. Che spettacolo! Lo infilai dentro e Joanna urlò. Afferrai bene i suoi fianchi e cominciai a scoparla. Mi muovevo dentro di lei facilmente come un pistone ben oliato.

Lei cominciò a strofinarsi il clitoride e, poco dopo, cominciò a respirare affannata. Inarcò la schiena. Le mie palle cominciarono a formicolare. Ora non posso sborrare. Non ancora. Prima farò venire te, bellissima cagna. Subito dopo che lo pensai, Joanna si appoggiò allo schienale del divano e urlò. Sentii le contrazioni ritmiche della sua figa e strinsi i denti. Una volta finito l’ultimo accordo del suo orgasmo, Joanna si staccò da me e si girò. Si sedette e me lo prese in bocca.

Afferrò le mie palle e le tirò leggermente. Con la lingua accarezzava il frenulo, succhiava e con la mano libera mi faceva una sega, così che le mie gambe cominciarono a tremare. Questo avevo immaginato, questo avevo sognato.

Presi la sua testa tra le mani e iniziai a dettare il ritmo. Aveva una bella boccuccia. Le mie palle cominciarono a ritrarsi verso il mio corpo. Volevo spingere gentilmente via Joanna per farle sapere che stavo per venire. Non me lo permise. Lasciò cadere le palle, mi afferrò per il culo e alzò gli occhi. Lo stava aspettando...

Piegai la testa all’indietro. L’orgasmo giunse come un’esplosione. Emisi un gemito e iniziai a sborrare. Continuava a succhiare inghiottendo una dose dopo l’altra. Succhiò le ultime gocce dal glande e lo baciò: “Non c’è niente di meglio di una colazione calda”, rise e scosse la chioma: “ti va di prendere un caffè?”. Restai a bocca aperta.

“Preferisco qualcosa di freddo, grazie”, risposi.

“Va bene”. Si alzò, infilò di nuovo la sua splendida quarta nel reggiseno, tirò la gonna giù fino alle ginocchia e si passò leggermente le mani sui fianchi. “Tutto bene?”.

“Bene? Eccellente!”.

“Stai parlando del mio aspetto o della nostra riunione mattutina”.

“Di entrambi”, sorrisi, “è così che dovrebbe iniziare ogni giornata”.

“Ogni giorno non lo so, ma sicuramente è il modo in cui festeggerei il completamento di qualsiasi grande progetto come questo. Quando finiamo il prossimo?”.


Non hai letto la prima parte del nostro racconto? Eccola qui: La capa dei miei sogni

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Autore: Alessandro Rossi

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