Quell’estate faceva caldo da morire. I marciapiedi roventi erano vuoti. Chi poteva si nascondeva dal calore del sole di giugno e non usciva prima della sera. Ero seduta su una poltrona di vimini in mezzo al giardino, all’ombra di un vecchio ciliegio ramificato, cercando di mettermi in testa le tematiche dell’esame di stato.
I miei pensieri scappavano in tutte le direzioni possibili e il ronzio delle api laboriose mi ricordava la mia incapacità di concentrarmi su quello che stavo leggendo, per non parlare del ricordarmi qualcosa.
Appoggiai i miei piedi nudi sul cesto rovesciato, sprofondai un po’ più in giù nella poltrona e tirai la mia lunga e larga gonna per esporre le mie gambe al sole in tutta la loro lunghezza. Se non avessi ricordato niente, almeno sarei stata bella abbronzata. Ma di fronte alla commissione esaminatrice mi avrebbe aiutato molto poco.
Mi alzai tutta annoiata per prendermi un altro bottiglione della limonata al cetriolo fatta in casa con menta, limone e un sacco di giaccio. Appena presi il bottiglione vuoto dal tavolino e mi diressi verso la casa, dalla finestra aperta al secondo piano della villa opposta risuonarono le note familiari dell’Estate di Vivaldi. Le dita di qualcuno danzavano con un ritmo furioso sui tasti con una facilità quasi inopportuna in quel caldo.
La settimana prima avevo visto furgoni traslochi davanti alla villa. Da uno di loro era sceso dalla rampa su un carrello speciale un pianoforte. Un uomo alto, snello, moro, con capelli grigi sulle tempie andava su e giù nervosamente intorno. Lo stimavo sotto i trentacinque anni, non più vecchio. Potrebbe essere lui? L'idea che fosse lui a suonare quel bellissimo e difficile pezzo mi fece battere il cuore.
Immaginai le sue dita sul mio corpo. Devono essere molto abili. E quel senso del ritmo... Accidenti! Perché sono sempre così arrapata quando devo studiare? Quattro orgasmi al giorno non bastano. Perfino il vibratore cerca di nascondersi da me. E se incontrassi il vicino nuovo e mi distraessi un po'? Ma come farlo? Ho un’idea! Ciliegie!
Rimisi il bottiglione sul tavolo, afferrai il cesto di vimini sotto l'albero e in pochi istanti l'avevo riempito per metà di ciliegie succose e mature.
Tolsi la molletta dai miei capelli e scossi la testa in modo che le ciocche ondulate dei miei lunghi capelli rossi si stendessero sulla mia schiena. Mi diressi risolutamente verso il cancello. Con mio stupore, non solo il cancello era aperto, ma anche la porta della vila era socchiusa. Mi infilai dentro e salii l’ampia scala, fiancheggiata da una robusta ringhiera di legno, irresistibilmente attratta dall’incantevole suono del pianoforte.
Rimasi ferma alla porta che conduceva a una stanza luminosa con il pavimento in parquet di quercia, nella quale c’erano solo e soltanto il pianoforte, uno sgabello da pianoforte e Lui. Rimasi in silenzio, aspettando che finisse di suonare. Davanti a me stringevo il cestino di ciliegie come Baby il cocomero. L’ultima nota finì di suonare. Si girò lentamente e sorrise:
“Diciamo che speravo che Lei venisse. Mi chiedevo se Le piacesse la musica, visto che le piace tamburellare le dita sui braccioli di quella poltrona di vimini su cui si siede in giardino mentre legge.”
Rimasi a bocca aperta. Lui mi conosce. E mi osserva. Ed è molto sveglio. Si alzò e fece un passo verso di me:
“Mi scusi, non mi sono ancora presentato. Buongiorno. Mi chiamo Ludwig. Come Beethoven”, mi fece l'occhiolino maliziosamente. “Piacere. Buongiorno. Io sono Chiara”.
“Che bel nome. Le sta molto bene. Chiara, come sapeva che oggi avrei preso qualcosa di così rinfrescante e succoso? Voglio dire le ciliegie che ha nel cestino, ovviamente”.
Aveva delle rughe incipienti intorno ai suoi occhi blu scuro, denti perfettamente dritti e un labbro inferiore che avrei morso subito.
“Può prenderne adesso, se vuole”.
“Davvero? Non può immaginare quanta voglia ho. Soprattutto quando penso a Lei che le ha raccolte con le sue mani. L’ho vista ieri mattina quando sono andato ad aprire la finestra. Non riuscivo a toglierLe gli occhi di dosso. Sale sempre la scala con una gonna lunga? Non ha paura di aggrovigliarsi?”.
“Non mi sono aggrovigliata finora. Ma non posso escludere che accada presto”.
“Ho voglia di... un bicchiere di whisky. Le va di unirsi a me? Per festeggiare il nostro primo incontro?”.
“Perché no, grazie. Ho bisogno di rilassarmi un po’”.
”Mi fa molto piacere. Le dispiace?”. Prese il cestino dalla mia mano.
“Grazie. Sono bellissime e quella più scura ha il colore delle sue labbra. Sicuramente sarà quella più dolce. Andiamo?”.
Poco dopo, lo guardavo da una gigantesca poltrona antica mentre mi riempiva il terzo bicchiere. Il liquido dorato scorreva nelle mie vene e un piacevole calore si diffondeva nel mio corpo. Discutemmo di molte cose in meno di un’ora e rimasi stupita di quanto Ludwig fosse divertente e affascinante. Forse lo avevo tenuto d'occhio troppo a lungo. Si avvicinò a me e mi prese la mano, mentre la stendevo per prendere il bicchiere:
“Sei meravigliosamente sexy. Sai esserlo ancora di più?”.
Si inclinò verso di me molto lentamente per darmi la possibilità di tirarmi indietro. Ma non potevo, davvero. Avevo aspettato troppo a lungo questo momento. Baciò l’angolo della mia bocca con le labbra leggermente socchiuse. Il suo profumo di Dior Sauvage mi fece venire i brividi. Strinsi il suo labbro inferiore tra le mie e subito dopo iniziamo a baciarci come pazzi. Mi teneva la nuca con una mano e passava il bordo dell’altra mano sul mio sterno.
Si fermò nel mezzo e poi si fece strada verso il mio seno sinistro. Lo strinse delicatamente. I miei capezzoli si gonfiarono immediatamente fino a diventare grandi come noccioli di ciliegia. Mi tirò giù la canottiera, strinse la mia quarta di seno soda con entrambe le mani, abbassò la testa e le baciò una per una. Gli tenevo la testa e lo premevo contro di me. Lo voglio. Proprio qui, proprio ora. Altrimenti impazzirò.
Mentre le sue labbra e la sua lingua giocavano con il mio capezzolo sinistro gonfio, io gli sbottonavo la camicia. Alzò la testa e cominciò a baciarmi in modo che le nostre lingue si intrecciassero. L'odore e il sapore del buon whisky erano come il nettare più dolce in quel momento. L'enorme rigonfiamento dei suoi pantaloni rendeva difficile sbottonarli, ma lui mi aiutò e riuscì comunque a tirarmi su la gonna e a stendermi sul divano. Come diavolo fa a farlo?
Rimase inginocchiato tra le mie cosce abbronzate e aperte. E poi lo vidi. Si trovava proprio contro di me. Un bastone maestoso di spessore incredibile, con un glande enorme come non l'avevo mai visto e una goccia scintillante nel mezzo. Spalancai gli occhi per la sorpresa.
Sorrise: “Lo so. Non avere paura. Prima ti preparerò bene, così non ti farà male”.
Si sdraiò su un lato accanto a me, infilò il suo ginocchio tra i miei e cominciò a coprirmi di morbidi baci sul collo, con la punta della sua lingua che scorreva sulla mia carotide. Fece scorrere il suo palmo lungo il mio ventre, le sue dita tamburellarono leggermente sul monte di Venere perfettamente rasato, passando delicatamente sul mio clitoride e provando delicatamente prima con uno e poi con due dita per vedere se poteva entrare.
Entrarono facilmente, cosa che gli fece visibilmente piacere. Cominciò a muoverli dentro e fuori con leggerezza. Il suo pollice tornò al mio clitoride e cominciò a girarci intorno ritmicamente. Premette sempre leggermente dal lato sinistro. Quello sì che ci sapeva fare!
Dopo smise per qualche secondo senza che le sue dita lunghe e sottili lasciassero la terra di conquista. Mugolai e andai incontro a loro. Lui sorrise divertito. Cambiò il suo movimento, per un momento spinse con entrambe le dita alternativamente e ritmicamente contro la parete superiore, poi cominciò a fare un gesto con le dita come se stesse facendo un cenno a qualcuno. Con il palmo dell’altra mano, premette leggermente sul mio addome verso le mie gambe, che iniziarono a tremare incontrollabilmente.
Non avevo scoperto quel punto nemmeno con un vibratore curvo finora, non ci posso credere... Piegai la testa indietro e gemetti. Quest’uomo è davvero un virtuoso. Poi alzai la testa per dirgli quanto fosse meraviglioso. Non ebbi nemmeno il tempo di prendere fiato che Ludwig spalancò le dita. Lentamente uscì da me e spinse sulle punte del mio osso pubico da entrambi i lati. In un istante, mi sentii come se avessi quel cazzo gigante dentro di me.
“Ce la fai, Chiara?”, sussurrò. E di nuovo quello sguardo furbo.
“Sì… certo! Ti voglio dentro di me ora!”.
Diventò serio e mi guardò fisso negli occhi. Si spostò elegantemente tra le mie cosce ampiamente aperte. Si alzò sulle mani e lasciò che trovasse la sua strada da solo. Lentamente, millimetro dopo millimetro, cominciò a penetrarmi. Era meravigliosamente duro. E un vero gigante.
Lo sentivo fino in fondo, come se cercasse di perforare in profondità il mio ventre. E lentamente di nuovo fuori. E ancora. Continuava a guardarmi sulle sue braccia alzate. Osservando ogni movimento del mio viso. Afferrai le sue chiappe.
“Te la senti”, ridacchiò.
“Come vuoi”. Accelerò.
Cambiava l’angolo di penetrazione come se avesse deciso di esplorare ogni angolo che offriva il mio corpo. Si appoggiò con una mano e infilò le dita dell’altra mano, ancora umidi dei miei succhi, nella mia bocca. Cominciai a succhiarle. Avevo due buchi riempiti e sentivo un’energia incredibile. Era come se un circuito elettrico fosse stato connesso dentro di me.
Finora non sapevo quanto meraviglioso potesse essere il mix di piacere e dolore. Non so quanto sia durato, se solo gemevo silenziosamente oppure gridavo. Stavo solo assorbendo il suo aspro profumo, il calore che scorreva nelle mie vene e la sensazione di essere completamente riempita dal suo cazzo perfetto.
Era come se mi avesse riempita tutta. Sepolta nella poltrona, il suo corpo solido con l’odore animalesco dell’ambroxan su di me. Affondai le mie unghie nella sua schiena e nello stesso momento sentii il suo corpo sollevarsi e pompare il suo seme dentro di me con una spinta poderosa.
Quello che venne dopo era come un’altra esplosione. Le contrazioni del suo cazzo gigante insieme alle ultime spinte mi spararono quasi su Marte e venni come non ero mai venuta prima.
“Scusa”, mi sussurrò all’orecchio, “avrei dovuto aspettare finché non venissi. Ma sei così bella che non ho potuto più trattenermi”.
“Quanto sei pazzo”, respirai, “ero io che dovevo fare sforzi per non venire ancora. Era così fantastico che volevo ritardarlo il più possibile”.
“Il tuo orgasmo?”. Non capiva.
“Sì. Non posso venire due volte di seguito”.
“Davvero?”, si meravigliò.
“Allora te lo dovremo insegnare. Perché le mie dita e quello sotto hanno un‘opinione completamente diversa. Un altro bicchiere di whisky?”.
Autore: Marina Deluca